Sport e integrazione

Sport e integrazione

Si è conclusa domenica scorsa la tre giorni a Varese delle nazionali di basket e volley,
maschile e femminile, delle persone sorde.
Una tre giorni frutto della collaborazione della Amministrazione Galimberti, in particolare degli assessorati Servizi Sociale e Sport, con il Pio Istituto dei Sordi di Milano che ci ha voluto rendere partecipi del loro progetto sportivo sostenuto, tra l’altro, anche dalla Fondazione Vodafone.
Mi permetto di riassumere brevemente qui, quanto ho detto agli atleti e a tutti coloro che hanno collaborato per la riuscita di questo particolarissimo appuntamento.
“Non siete voi che ci dovete ringraziare, ma siamo noi che vi ringraziamo per averci dato questa opportunità. Vi ringraziamo perché ci avete consentito di mettervi a disposizione delle nostre strutture per potervi allenare. Vi ringraziamo perché ci avete dato l’opportunità di sperimentare il nostro grado di accoglienza nei confronti di persone, in questo caso atleti, con disabilità uditiva e anche perché così avete messo alla prova la capacità del privato di ospitarvi e trasportarvi nei diversi luoghi di impegno.” E, aggiungo oggi a manifestazione finita, “ vi ringraziamo anche perché ci avete aiutato a capire quali sono i reciproci bisogni per aumentare la capacità di relazione con una parte del mondo disabile.”
Al di là di qualsiasi ringraziamento che ho fatto senza retorica, voglio cogliere questo spazio per provare a fare una riflessione sul dopo, cioè sul che cosa ci rimane dopo un evento, dopo una manifestazione sportiva di questa natura.

Io penso che il punto di partenza sia il seguente. Ogni volta che pensiamo un qualche progetto o che realizziamo una qualche struttura, soprattutto, in campo sportivo siamo portati a dire, anche giustamente, che si tratta di una struttura “aperta a tutti”, ma, forse, la vera domanda da porci o che dobbiamo porci è se davvero quello che elaboriamo o realizziamo è davvero aperto a tutti e cioè se ci poniamo in maniera realistica e fattiva quelle giuste attenzioni affinché tutte le persone possano effettivamente utilizzare quanto costruito e messo a disposizione.

In questi giorni abbiamo vissuto una esperienza importante. Abbiamo messo a disposizione le nostre palestre, quindi, a partire dallo sport che può essere certamente agonistico o il più semplice diritto “ a fare attività fisica” in relazione alla propria capacità abbiamo avuto un esempio dei limiti e dei pregi di ciò che c’è sul nostro territorio. Ecco, io penso che, il punto di partenza, anche alla luce di questa tre giorni fatta con un gruppo di ragazze e ragazzi con disabilità uditiva sia questo. Interrogarsi sempre sulla reale utilizzabilità delle nostre strutture e domandarsi se, nel momento in cui progettiamo qualcosa di nuovo, o siamo in procinto di migliorare ciò che abbiamo già, a questo nostro pensare corrisponde una reale soddisfazione dell’accesso a tutti.

Non solo. Io penso che la frontiera del connubio sport disabilità vada ulteriormente ampliata. Cosa vuol dire questo? Vuole essenzialmente significare che lo sport è uno strumento, non l’unico, che ci può consentire di abbattere le barriere e fornire i mezzi per superare i limiti imposti dalla disabilità. Ma questo vuol dire che dobbiamo investire certamente per migliorare ulteriormente i luoghi dove poter esercitare sport e vuol dire che dobbiamo investire anche sulle persone affinché ci sia sempre personale preparato e in grado di accompagnare nella crescita le persone disabili. Ma c’è ancora un dato che mi pare significativo e che emerge anche da questa bella esperienza che per il secondo anno siamo andati a ripetere. La ricaduta sulla città. Aprire la città agli sportivi disabili significa fare anche un salto culturale importante.
Significa avere operatori che si preparano sia culturalmente sia tecnicamente ad affrontare e ad agevolare al meglio persone così. Significa aprirsi anche ad un turismo particolare che necessita di esigenze diverse e quindi anche di accompagnatori predisposti a rispondere ai bisogni che possono manifestarsi. Significa sapere poi che gli atleti disabili sono solo una parte, ma che ci sono anche coloro che sono disabili e non atleti e che possono essere turisti che vanno accolti con tutte le loro diverse esigenze.
Insomma, io credo che la nostra città abbia in sé esperienze importanti frutto di
quell’associazionismo che da anni si muove sul crinale sport e disabilità con ottimi risultati e credo anche che queste esperienze possano essere ulteriormente valorizzate proprio anche attraverso l’ospitalità che si può offrire nella gestione di momenti e appuntamenti nazionali e internazionali dedicati proprio alle persone disabili. Investire su questo terreno in una città di tradizioni sportive vuol dire avere ricadute spesse volte non prevedibili. Ricadute sui suoi impianti, sugli accessi da e per la città. Vuol dire abbattere le barriere anche culturali e vuol dire far fare un salto di qualità anche ai nostri operatori turistici. E vuol dire contribuire a creare una cultura dell’accoglienza capace anche di creare quelle sinergie pubblico privato oggi sempre più necessarie per essere inclusivi non a parole.

Roberto Molinari

Assessore ai Servizi Sociali

Comune di Varese

( La Prealpina del 9 settembre 2021 )